Bottarga, Batteria, Bellezza - Intervista a Oriol Roca

sabato 3 dicembre 2011

En castellano


Apriamo oggi la rubrica di Barcellonando "Gli italiani lo fanno", dedicata agli italiani che sono a Barcellona e che fanno cose (possibilmente interessanti). E apriamo con Oriol Roca, che non è italiano ma 1) Doverosamente questo è il nostro omaggio a Catalunya (Catalogna non mi piace, in questo blog sempre si scriverà Catalunya) 2) Oriol ha una bellissima relazione con l'Italia, specie con la Sardegna, che ci racconta in questa intervista. Prima pensavo che il batterista era quel tipo che sta dietro la batteria, e sin dall'inizio non ho mai creduto alla storia che Ringo riceveva più lettere d'amore di tutti  gli altri Beatles. Se pensate che il batterista solo serve a fare casino mentre gli altri suonano musica, e che alla fine si limita a lanciare le bacchette sul pubblico, dovete continuare a leggere. Ma direi che dovete farlo in ogni caso.

Oriol, tu sei uno dei miei musicisti preferiti e inoltre hai un rapporto speciale con l'Italia, in particolare con la Sardegna. Com'è nata questa relazione?

Nel 2011 sono andato a studiare in Olanda e le prime persone che ho conosciuto, e che furono miei compagni d'appartamento per tre anni,  sono stati Giovanni e Daniele, due musicisti di Roma che cominciavano anche loro l'avventura nei Paesi Bassi quello stesso anno. L'esperienza è stata determinante perché mi ha permesso di imparare la lingua e di scoprire molti gioielli della cultura italiana: i film di Nanni Moretti, il gusto per la cucina (che però già mi piaceva, io da piccolo volevo fare il cuoco), i gruppi di rock progressivo italiano, il Chianti e il Montepulciano d'Abruzzo (Daniele era anche sommelier), il senso dell'umorismo romano, Pino Daniele, l'arte di preparare un buon caffè, 90º minuto della RAI (che Giovanni seguiva religiosamente ogni domenica pomeriggio - e quell'anno la Roma aveva vinto lo Scudetto)! Insomma, grazie a loro due quell'anno scoprii le cose migliori dell'Italia.
Da lí poi cominciai a conoscere molti altri musicisti italiani con i quali continuo a suonare ancora oggi. La connessione con la Sardegna è nata grazie al contrabbassista sardo Manolo Cabras, uno dei migliori contrabbassisti che conosco. Diventammo molto amici e credo che dal 2002 tutte le estati sono sempre andato in Sardegna, a parte l'estate scorsa. Ma rimedieró subito visto che a dicembre ho due concerti in un festival vicino a Olbia!
Grazie a Manolo ho potuto conoscere molte parti dell'isola. La zona che conosco di più è il sud, la zona di Cagliari, ma l'ho girata un po' tutta. Per il mare credo che la mia parte favorita è il Nord Est, vicino a Capo Comino; sembra una cartolina e non c'è molta gente.

Nel 2009 hai suonato al festival Isole Che Parlano di Palau, dove hai inciso un disco stupendo, La Tomba dei Giganti. Raccontaci di questa esperienza e parlaci della sensazione di suonare in un posto così speciale.

Nell'agosto del 2009 il musicista, amico e direttore del Festival Isole che Parlano Paolo Angeli mi ha chiamato per chiedermi se volevo fare un "solo" al festival, in settembre, spiegandomi che si sarebbe trattato di suonare in un luogo speciale, un monumento funerario del 1400 a.C., la Tomba dei Giganti! Gli dissi di sì. Mi ha mandato foto del posto e mi ha raccontato della componente mistica per la gente della zona e per molti pellegrini che vengono da tutta Italia per curarsi grazie alle "radiazioni" che emergono da quel punto.
Nei giorni prima del concerto mi feci un'idea di quello che doveva essere un posto così speciale e decisi di orientare l'improvvisazione verso gli elementi che suggeriva e che vi immaginavo incontrare: concetti come il silenzio, la natura, la pietra millenaria, gli antenati, lo scorrere del tempo...
Quel concerto in un posto sperduto, su una montagna sarda, con tutta quella gente venuta a radunarsi intorno alla Tomba per ascoltare un tipo suonare un assolo di batteria di 40 minuti, in un silenzio che poche volte ho potuto sentire nella vita, è stata una delle esperienze più intense que abbia mai avuto.

Che differenze trovi tra suonare in Sardegna e nella tua Catalunya, e poi tra le rive del Mediterraneo e l'Olanda o la Francia, dove suoni spesso?

Suono in Catalunya da quando avevo 14 anni e per me è la cosa piú abituale. Mentre la Sardegna la associo sempre e solo a cose buone: estate, caldo, divertimento, bottarga e vermentino... E ogni volta che ci vado mi capita di suonare con buoni amici e in situazioni molto rilassate. Adoro suonare lí.
Mi ha sempre impressionato la quantità di buoni musicisti che è uscita da quell'isola, gente come Paolo Fresu, Riccardo Pittau, quel matto di Antonello Salis e il mio amico pianista Augusto Pirodda (che qualche mese fa ha inciso un disco con Gary Peacock e Paul Motian - riposa in pace, maestro!), l'incredibile Paolo Angeli o Manolo Cabras. E molti altri. Ma soprattuto è impressionante pensare che per questa gente da giovanissima era praticamente impossibile comprare dischi di jazz in Sardegna, a parte di Louis Armstrong e Billy Holiday che si trovano dappertutto in tutto il mondo... Manolo mi raccontava che compravano i dischi attraverso il catalogo postale della ECM (la mitica casa discografica tedesca), senza conoscere in quel momento i musicisti... Conoscevano per esempio Jan Garbarek e poi vedevano che suonava con un tal Bobo Stenson in un altro disco. Gli piaceva Stenson e allora cercavano altri dischi suoi e cosí via. Poco a poco diventarono dei veri esperti di quella etichetta discografica. Tutto questo via posta e con i pacchetti che spesso si perdevano per strada. Voglio dire che per il fatto di vivere in un'isola tutto era più lento e complicato. Dovevano sbattersi parecchio per procurarsi materiale didattico, professori, partiture, dischi. Alcuni di loro, come Manolo, hanno fatto il conservatorio, l'unica via possibile. Ogni volta che potevano andavano ai seminari di Siena Jazz e imparavano a fianco di gente come Dave Holland, Pieranunzi o Enrico Rava. Poi c'erano un paio di buoni festival, tanto che gente come Lester Bowie visse lì molti anni perché si innamorò dell'isola un' estate che ci andò a suonare. La Sardegna è un posto molto speciale in tutti i sensi...

I musicisti di jazz italiano hanno il sangue caldo, sono molto intensi e con un background di musica popolare molto grande. Tutto questo li converte in molti casi in musicisti di temperamento e mi piace molto suonare con loro. Nel Nord Europa è diverso. Dal clima alla gastronomia, la gente del nord non si assomiglia molto a quella del sud. Quando si tratta di suonare questo non è né meglio né peggio. Cosí a grandi linee direi che i nordici sono più "contemplativi" e più rigorosi e impegnati rispetto ai quelli del sud, con eccezioni, chiaro. Molti hanno potuto studiare in condizioni molto buone sin da piccoli e normalmente sono molto preparati. Personalmente mi piace suonare sia con gli uni che con gli altri.

Nel Mediterraneo si suona meglio o è solo l'insostituibile estate mediterranea che fa effetto sul pubblico e sui musicisti?

Un giorno stavo parlando con un amico della Repubblica Ceca, un eccelente batterista, Marek Patrman, che vive a Bruxelles, e mi raccontava di quando venne a Barcellona per la prima volta negli anni '90. Passava le giornate seduto nelle terrazze dei bar, bevendo vino o sangria e mangiando tapas. Mi diceva: se fossi di Barcellona suonerei salsa. Però vive a Bruxelles e suona un freejazz oscuro e denso. Credo che ci influenza la grande quantità di sole a cui siamo esposti. Nei cinque anni che passai in Olanda mi sono abituato a vivere senza sole, ma sarebbe stata dura scegliere di vivere lì. Come dice Serrat... "Nací en el Mediterraneo...".

Il jazz e l'improvvisazione sono il tuo pane quotidiano, però sei noto anche per potenti incursioni  nel pop e nella fusione hip hop, penso ad Amanda Jayne e il progetto con la Mala Rodriguez, Refree e il Taller de Musics. Come ti trovi a suonare in 4/4?

Mi piace suonare qualunque tipo di musica che abbia senso per me. Mio padre è un grande fan dei Beatles (suona in un gruppo e va a provare religiosamente tutti i lunedì). Sono cresciuto ascoltando questa musica e nei miei primi gruppi facevamo cover dei Led Zeppelin o Jimi Hendrix. Continuo a suonare regolarmente con progetti che non hanno a che fare con il jazz però sempre perché mi sento ugualmente libero con le persone con cui suono, gente molto aperta a cui le etichette non importano un granché, come Refree per esempio. Credo che non bisogna chiudersi le porte solo perché a un certo punto uno ha scelto di essere musicista di jazz o pop, non ha senso. Io mi diverto facendo musica, qualunque sia l'aggettivo che la gente voglia aggiungerle.

Cosa ti piace di più della musica improvvisata? Parola vietata: libertà!


Ha ha! Un po' difficile allora se non posso usare questa parola! Per me suonare musica improvvisata è come tornare bambino. Da bambino tutto è possibile. Quando giochi con tuo fratello a scuola non esistono limiti, puoi immaginarti tutto quello che vuoi. La musica improvvisata, anche se contiene convenzioni non scritte, permette che succedano cose che in altri contesti non potrebbeero mai succedere. Molta gente ha l'impressione in genere che nell'improvvisazione tutto può succedere, ma non è proprio cosí. Per essere capace di suonare in un contesto dove di base non ci sono norme è necessario avere una certa conoscenza di questa musica: esistono codici ed elementi essenziali e necessari in qualunque stilo musicale. Per esempio è determinante saper ascoltare. Ascoltando, io stesso ho imparato di più. Ascoltando dischi, andando a concerti...Esporsi a musica sconosciuta può risultare difficile all'inizio, ma anche ascoltare mentre uno sta suonando. Solo così è possibile costruire un discorso collettivo che va da qualche parte. Certo è che l'improvvisazione può anche essere una rottura di palle se non ha una direzione chiara. Ma forma parte del rischio che uno deve prendere. Il rischio che non sempre può uscire qualcosa di incredibile e irripetibile.

Oltre alla musica in sé, ti intrecci anche con la danza contemporanea in lavori come CREA e Lanònima imperial. Chi "comanda" in un'improvvisazione di danza, il musicista o il ballerino? 

Io intendo l'improvvisazione danza/musica con un dialogo tra discipline artistiche o due forme di esprimersi in cui uno suggerisce e accoglie allo stesso tempo. Il dialogo esiste solo quando cada una delle parti esprime quello che pensa, ascoltando e reagendo a quello che l'altro suggerisce. Credo che nessuno debba comandare, il discorso è collettivo e va intessendosi mano a mano. Quanti più elementi partecipano, più complicato risulta fissare una direzione. E' facile perdere il Nord e il tutto può disperdersi. La mia esperienza mi insegna che è più gratificante farlo con pochi elementi in gioco (pochi musicisti e pochi ballerini). Da tempo lavoro con la ballerina catalana Ana Rubirola. Siamo amici da anni, certo, questo aiuta, però per il fatto che siamo solo due elementi rende più facile la comunicazione, è più facile capirsi e trasmetterlo piuttosto che con molta gente. In ogni caso sempre impari cose nuove, ma mi viene in mente l'aforisma dell'architetto Mies Van der Rohe, "less is more", ossia, fare di meno e lasciare più spazio.

Suoni con Paolo Angeli e poi con Paolo  ancora e Sasha Agranov nella Piccola Orchestra Gagarin. Che differenza c'è a suonare solo con Paolo e con il trio?

Le due formazioni mi piacciono moltissimo, sono simili ma diverse. In duo c'è piu spazio che nel trio, e forse implica anche una maggiore responsabilità. Forse in due più facile passare da un' idea all'altra che in tre, è più facile mettersi d'accordo su che direzione prendere. Pero la POG è un gruppo fantastico dove c'è un'intesa mutua naturale e comunicazione, come se avessimo suonato insieme da moltissimo mentre invece è proprio il contrario. La paletta di colori si moltiplica quando siamo in tre, soprattutto per la loro parte elettronica e perché sono essenzialmente due grandi musicisti. Ed è un piacere suonare con loro,  ci divertiamo molto e credo che abbiamo molta strada davanti.

Qual è il posto più strano dove hai mai suonato?

Forse i posti più strani risalgono al mio periodo in Olanda. Un paio di volte ho suonato alla festa annuale dell' accademia militare degli ufficiali dell'esercito olandese. Questi tipi mettevano su ogni volta una campo da beach volley dentro la base. Una volta chiesi a un ufficiale come facevano e mi rispose: "Noi siamo l'esercito. Andiamo coi camion alla spiaggia dell'Aia, li rimpiamo di sabbia e ce ne andiamo. Nessuno fa domande". Poi ho suonato in feste di milionari dove ti davano mance di 500 €, in ambasciate, nella sede della petrolifera Shell a Rotterdam con i tutti i pesci grossi della compagnia e in uno dei palazzi della regina Beatrice d'Olanda.

E quello dove vorresti suonare più di ogni altro al mondo?
 E con chi?

Con la Piccola Orchestra Gagarin al Cremlino.

Disegnami una dream band per te. Valgono anche musicisti del passato.

Sicuramente è il sogno di molti musicicsti, pero vorrei trasportarmi a metà degli anni '60 e aggiungermi al quintetto di Miles Davis con Herbie Hancock, Wayne Shorter, Ron Carter e Tomy Williams. E io, chiaro, due batterie. Come seconda opzione, suonare con Jaco Pastorious nei Weather Report.

A quali progetti stai lavorando ultimamente?
Ho varie cose per la mani e alcuni dischi che usciranno tra breve, come quello col Mutt Trio, un altro con il pianista Giovanni di Domenico, il nuovo disco di Davind Mengual....ma soprattuto continuare a suonare con la gente con cui suono da anni.

Grazie, Oriol.
Grazie a te!

En castellano

Oriol, tu eres uno de mis músicos favoritos y además tienes una relación especial con Italia, en particular con Cerdeña. ¿Como ha nacido esta relación?

En el año 2001 fui a vivir y estudiar en Holanda; allí, las primeras personas que conocí (que fueron mis compañeros de piso durante tres años) fueron Giovanni y Daniele, dos músicos de Roma que también empezaban su aventura en los países bajos aquel mismo año. Esto fue determinante porque me permitió aprender el idioma y descubrir muchas joyas de la cultura italiana: los films de Nanni Moretti, el gusto por la cocina (en realidad a mí ya me gustaba, de pequeño quería ser cocinero), los grupos de rock progresivos italianos, el Chianti y el Montepulciano d’Abruzzo (Daniele era también somelier), el humor romano, Pino Daniele, el arte de preparar un buen café, el 90º minuto de la RAI - popular emisión de futbol, NdB - (que Giovanni miraba religiosamente cada domingo por la tarde en la tele, aquél año la Roma había ganado lo Scudetto!). Vaya, que descubrí lo bueno y mejor de Italia gracias a ellos dos. 
A partir de vivir con ellos me junté con muchos otros músicos italianos, con los que sigo tocando actualmente. Pero quine me conectó con la Sardegna fue el contrabajista sardo Manolo Cabras, uno de los mejores contrabajistas que conozco. Nos hicimos muy amigos y creo que desde el año 2002 he ido cada verano a Sardegna excepto este verano pasado… pero lo solucionaré en breve, en diciembre tengo dos conciertos en un festival cerca de Olbia
Gracias a Manolo he podido conocer muchas partes de la isla. Lo que conozco más es el sur, la zona de Cagliari; pero he estado en muchos lugares de norte a sur. A nivel de mar creo que me quedaría con la zona del noreste cerca de Capo Comino; parece una postal y hay muy poco gente.

En el 2009 tocaste en el festival Isole Che Parlano en Palau y allí grabaste un disco estupendo, La Tomba dei Giganti. Cuentanos de esta experiencia y de la sensación de tocar en un sitio tan especial.

En Agosto del 2009 el músico, amigo y director del festival Isole che Parlano me llamó para preguntarme si me gustaría hacer un solo en el festival que tenía lugar en septiembre. Me explicó el lugar especial donde tendría lugar el concierto: delante de un monumento funerario del 1400 a.C., delante de la Tomba dei Giganti. Le dije que sí.
Me mandó fotos del lugar y me explicó todo el componente místico del lugar para la gente de la zona y para muchos peregrinos que vienen de todas partes de Italia para curarse de alguna enfermedad a través de las “radiaciones” que emergen de aquel punto. 
Los días previos al concierto pude hacerme una idea de lo que debía ser aquel sitio tan especial y decidí orientar la improvisación del solo hacia todos los elementos que me sugería el lugar e imaginaba encontraría allí: básicamente conceptos como el silencio, la naturaleza, la piedra milenaria, los antepasados, el paso del tiempo…
Aquel concierto en medio de la nada, en un monte sardo y con toda la gente que vino aquella tarde rodeando La Tomba, para escuchar un tío tocar un solo de 40 minutos de batería y en un silencio que pocas veces se ha vuelto a repetir, fue una de las experiencias más intensas que he tenido nunca a través de la música.

¿Qué diferencias encuentras entre tocar en Cerdeña y en tu Cataluña, y después entre las orillas del Mediterraneo y Holanda o Francia, donde tocas a menudo?

Tocar en Catalunya es algo que llevo haciendo desde que tenía 14 años, y para mí es lo más habitual; en cambio Sardegna es un sitio asociado sólo a cosas buenas, a verano, a calor, a diversión, a la bottarga y el vermentino… y cada vez que toco allí es con buenos amigos y en situaciones muy relajadas. Me encanta ir allí a tocar.
Siempre me ha impresionado la cantidad de buenos músicos que han salido de esta isla, gente como Paolo Fresu, Riccardo Pittau, el “loco” de Antonello Salis, y también mi amigo y pianista Augusto Pirodda (quien sacó hace unos meses un disco a trio con Gary Peacock y Paul Motian, en paz descanse el maestro…), el increíble Paolo Angeli o Manolo Cabras. Hay muchos más, y es aún más impresionante pensar que cuando esta gente eran jóvenes era prácticamente imposible comprar discos de jazz en Sardegna a parte de los de Louis Amstrong o Billie holiday, que están en cualquier rincón del mundo. Me contaba mi amigo Manolo que compraban a través de catálogos sus discos de ECM (la mítica discográfica alemana) sin conocer en aquel momento quien eran los músicos que tocaban en los discos. Conocían a uno, por ejemplo a Jan Garbarek, y después veían que éste –que les gustaba- tocaba en otro disco con un tal Bobo Stenson. Les gustaba Stenson y buscaban más discos de él y se los compraban, hasta que poco a poco se fueron convirtiendo en grandes conocedores de este sello, y de su música. Todo esto vía paquete postal que a menudo se perdía por el camino… Quiero decir que por el echo de vivir en una isla todo era mucho más complicado y lento. Se lo tenían que currar mucho para conseguir material didáctico, profesores, partituras, discos… Algunos de ellos (como Manolo) estudiaron toda la carrera de clásico; esto era lo único a lo que tenían acceso. Al mismo tiempo, muchos de estos músicos iban siempre que podían a los seminarios de Siena Jazz y aprendían al lado de gente como Dave Holland, Pieranunzi o Enrico Rava… también había un par de festivales de jazz muy buenos en la isla, hasta el punto que gente como Lester Bowie vivió allí muchos años porque se enamoró de la isla un verano que fue a tocar allí. La Sardegna es un sitio muy especial en todos los sentidos. Los músicos de jazz italianos son de sangre caliente, son muy intensos y con un background de música popular muy grande; todo esto los convierte en muchos casos en músicos temperamentales, y con los que disfruto mucho tocando.
En el norte de Europa la cosa es distinta. Empezando por el clima y terminando por sus gastronomía, la gente del norte no se parece mucho a la del sur. A la hora de tocar esto no es mejor ni peor; a grandes rasgos diría que los músicos nórdicos son más “contemplativos” y más comedidos respecto a los del sur, pero hay excepciones claro. También muchos han podido estudiar en unas condiciones muy buenas desde muy pequeños y están normalmente muy preparados. Personalmente disfruto de tocar con unos y con otros.

¿En el Mediterraneo se toca mejor o sólo es que no hay nada como el verano mediterraneo y la manera en que este influye sobre el público y los músicos?

Un día hablaba con un amigo de la República Checa, un excelente batería llamado Marek Patrman que vive en Bruselas, y me contaba la primera vez que vino a Barcelona en los años 90. Se pasó el día sentado en las terrazas bebiendo vino o sangría y comiendo tapas. Me dijo” si yo fuera de Barcelona tocaría salsa…”. La realidad es que vive en Bruselas y toca free jazz, del más oscuro y denso. 
Creo que afecta mucho la cantidad de sol a la que estamos expuestos. Los 5 años que viví en Holanda me acostumbré a vivir sin él, pero me hubiese costado mucho quedarme a vivir allí; como dice Serrat “Nací en el Mediterráneo…”.

El jazz y la improvisación son tu pan de cada día, pero eres conocido también para potentes incursiones en el pop y la fusion hip hop, pienso en Amanda Jayne o el proyecto con la Mala Rodriguez, Refree y Taller de Musics. ¿Come te sienta tocar en 4/4?

Disfruto mucho tocando cualquier música que tenga sentido para mí. Mi padre es un gran fan de The Beatles (de echo tiene un grupo de rock y ensaya cada lunes religiosamente). Yo crecí escuchando esta música y en mis primeros grupos hacíamos versiones de Led Zeppelin o Jimi Hendrix. Sigo tocando regularmente en proyectos que se escapan del jazz, pero siempre porque me siento igualmente libre con la gente con quien toco; es gente muy abierta y no prestan mucha atención a las etiquetas, como con Refree por ejemplo…  No creo que nadie se deba cerrar puertas porque en algún momento decidió ser un músico de jazz o un músico de pop. Para mí no tiene mucho sentido; me lo paso bien haciendo música sea cual sea el calificativo que la gente le quiera dar.
 

¿Qué es lo que te gusta más de la música improvisada? Prohibido decir: libertad!

Hombre! Me lo pones difícil si no puedo usar esta palabra!  Para mí la música improvisada es poder jugar a ser otra vez un niño. Cuando eres pequeño todo es posible, cuando juegas con tu hermano o en el colegio no existen los límites y puedes imaginarte lo que quieras. La música improvisada (a pesar de la existencia, también en esta música, de unas ciertas convenciones no escritas) permite que sucedan cosas que en otros contextos nunca podrían llegar a pasar.
Muchas veces la gente tiene la impresión de que en la improvisación todo vale, y no es del todo cierto. Para ser capaz de tocar libremente en un contexto dónde en principio no hay normas, es necesario un cierto conocimiento de esta música; existen códigos y elementos esenciales y necesarios en cualquier estilo musical, como por ejemplo el saber escuchar. A base de escuchar es como yo he aprendido más. Escuchar discos, ir a conciertos, enfrentarse a música desconocida y que puede resultar difícil en un principio; pero también escuchar mientras uno está tocando. Sólo así es posible construir un discurso colectivo que vaya a alguna parte; y es que la improvisación puede ser también un coñazo cuando no tiene una dirección clara. Pero forma parte del riesgo que uno debe asumir cuando se enfrenta a ello, no siempre saldrá algo increíble e irrepetible.

Además de la música en sí, tu experiencia se entrelaza con la danza contemporánea, en trabajos como CREA o Lanònima Imperial. ¿Quién "manda" en una improvisación de danza, el músico o el bailarín?

Yo entiendo la improvisación danza/música como un diálogo entre dos disciplinas artísticas o dos formas de expresarse en el que uno sugiere y recoge al mismo tiempo. El diálogo existe sólo cuando cada parte dice y expresa lo que piensa, escuchando y reaccionando a lo que el otro sugiere.
Creo que no debe comandar nadie, el discurso es colectivo y se va tejiendo a la vez. Cuantos más elementos participan de una improvisación, más complicado resulta fijar un rumbo, es fácil perder el foco de atención y que se convierta en algo disperso. Por mi experiencia de haber trabajado con bailarines, me resulta más gratificante hacerlo con pocos elementos en juego (pocos músicos y pocos bailarines).
Hace un tiempo que estamos trabajando en dúo con la bailarina catalana Anna Rubirola; si bien es cierto que somos amigos desde hace muchos años y esto ayuda mucho, el hecho de ser tan sólo dos elementos facilita la comunicación, es mucho más claro entenderse y transmitirlo que cuando he hecho cosas con mucha gente a la vez. En cualquier caso siempre aprendes cosas, pero siempre me viene en mente el aforismo de el arquitecto Mies van der Rohe, el famoso “less is more”, o sea, hacer menos y dejar más espacio.

Tocas con Paolo Angeli y luego junto con él y Sasha Agranov formais la Piccola Orchestra Gagarin. ¿Qué diferencia hay entre tocar con Paolo solo y con el trio?

Las dos formaciones me encantan, se parecen entre sí, pero son distintas. En dúo hay más espacio que en trio, y quizás implica una mayor responsabilidad. Quizás es más ágil pasar de una idea a la otra siendo dos que tres, ya que es más sencillo ponerse de acuerdo hacia dónde tirar.
Al mismo tiempo, el trio Piccola Orchestra Gagarin es un grupo fantástico donde hay una comunicación y un entendimiento mutuo natural, es como si ya hubiéramos tocado mucho juntos anteriormente, sin ser eso verdad. La paleta de colores se multiplica cuando somos los tres, sobretodo por todo lo que llevan ellos dos de electrónica, y gracias también a que son esencialmente dos grandes músicos.
Es un placer muy grande tocar con ellos, nos lo pasamos muy bien, y creo que tenemos mucho camino por andar.

¿Cual es el sitio más raro donde has tocado?

Quizás los conciertos más extraños fueron durante los años que vivía en Holanda. Toqué por ejemplo un par de veces en la fiesta anual de la academia militar de oficiales del ejército holandés. Estos tíos montaban cada año un campo de beach-volley en su fiesta dentro del recinto militar. Una vez pregunté a un oficial cómo lo hacían; me dijo: “nosotros somos el ejército, vamos con camiones a la playa de La Haya, los cargamos de arena y nos vamos; nadie pregunta nada”. También toqué en fiestas de millonarios que daban propinas de 500 €, en embajadas, en la sede de la petrolera Shell en Rotterdam con todos los peces gordos de la compañía; y también en uno de los palacios de la reina Beatrix de Holanda.

¿Y el sitio donde te gustaría más tocar en el mundo y con quién?

Con la Piccola Orchestra Gagarin en el Kremlin.

Diseñame una "dream band" para tí. Puedes incluir también músicos del pasado.

Seguramente es el sueño de muchos músicos, pero me gustaría transportarme a mediados de los años 60 y sumarme al quinteto de Miles Davis, con Herbie Hancock, Wayne Shorter, Ron Carter y Tony Williams (yo yo claro, dos baterías). Y como segunda opción tocar con Jaco Pastorious en Weather Report.

¿En que estás trabajando ultimamente? 



Pues hay muchas cosas en marcha y que me hacen mucha ilusión, discos que tienen que salir como el nuevo disco de MUT TRIO, otro con el pianista Giovanni di Domenico, el nuevo disco de David Mengual… pero sobretodo poder seguir tocando con toda la gente con quien llevo años haciéndolo.

Fotos:
All about Jazz
Nanni Angeli



0 commenti:

Posta un commento